Capitolo 6: Vicende piccole in secoli grandi

La vertenza con la matrice di S. Lorenzo si concludeva quando iniziava il provvido periodo dell’imperatrice Maria Teresa d’Asburgo, la quale cercò di applicare nel suo impero, comprendente anche la Lombardia, i principi rinnovatori dell’Illuminismo in politica, in economia, nella cultura, nei rapporti ecclesiastici.A questa donna di larghe vedute, madre di ben quindici figli, che, nonostante gli impegni di governo, teneva a sé vicini, si deve il principio del risorgimento agricolo e commerciale lombardo: Maria Teresa affrontò il problema del riordinamento fiscale promuovendo la compilazione di un censimento delle proprietà dei redditi (catasto).
L’amministrazione finanziaria e giudiziaria fu centralizzata, i rapporti economici e commerciali fra le diverse province furono facilitati mediante la costruzione di importanti arterie stradali.
Devota cattolica, Maria Teresa non affrontò il problema dei rapporti tra Stato e Chiesa; abolito il tribunale dell’Inquisizione, mantenne tuttavia le discriminazioni nei confronti dei protestanti e degli ebrei. Allo stesso modo non cercò di colpire i privilegi feudali o di eliminare la servitù della gleba.
Il processo riformatore teresiano fu però accelerato dal figlio Giuseppe II, già venuto in Italia e dalla madre associato al potere: egli cercò, infatti, di attuare il principio della libertà del lavoro mediante l’abolizione della servitù delle corporazioni e delle corvèes ed il principio della libertà di scambio sopprimendo monopoli, privative e privilegi signorili.

Nel 1781, un anno dopo la morte della madre, emanò un editto di tolleranza che aboliva le discriminazioni nei confronti dei non cattolici.
I 1492 comuni della Lombardia cessarono di rappresentare delle varietà locali distinte e presero una forma sola organizzata in un tutto omogeneo: l’assemblea dei proprietari di terre, inscritti nelle tavole del censo, formarono un corpo deliberante, sorretto da due ufficiali, il sindaco ed il console.
Ma Vienna volle essere presente dovunque: nei comuni mandò i suoi regi cancellieri, nelle città i suoi regi delegati, che avevano il potere di approvare o sospendere ogni delibera e rivedere i bilanci.
Tre Ronchetti beneficiò sicuramente di queste riforme austriache, che ponevano fine al malgoverno spagnolo e lo dimostra la relazione della visita pastorale compiuta su mandato del Card. Giuseppe Pozzobonelli, anziano e infermo, l’ 11 maggio 1779, dal suo delegato, mons. Angelo Antonio Oltrochi.

Il delegato arcivescovile fu ricevuto solennemente in chiesa dalla popolazione e cominciò a stendere il suo lungo e circostanziato verbale, dal quale si ricava che la chiesa, la sacrestia, il campanile erano stati completati nelle loro strutture murarie. La chiesa poi era stata dotata di sei cappelle, tre per lato dell’unica navata, dedicate rispettivamente alla Madonna del Santo Rosario, a S. Giuseppe, a S. Michele, a S. Carlo, a S. Anna, a S. Antonio.
Ciascuna di esse aveva la sua icone. La statua in legno della Madonna, che porgeva il rosario a S. Domenico cappella mariana, mentre i quadri dei santi titolari onoravano le loro cappelle.
Particolare era la cappella di S. Michele, dove il quadro dell’Arcangelo era unito al plastico delle anime purganti liberate dalle fiamme del Purgatorio. L’altare maggiore troneggiava al centro dell’abside, circondato dal coro e limitato dalle due porte, che conducevano una al campanile, l’altra alla sacrestia: pitture alle pareti attorno non esistevano, eccetto un quadro rappresentante l’ultima Cena e solamente sulla volta erano dipinte immagini rappresentanti la gloria dei cieli.

Il fonte battesimale era posto nella cappella di S. Antonio e impreziosito dal quadro di S. Giovanni mentre battezza il Salvatore. Un quadro della Madonna del latte arricchiva anche la cappella di S. Anna dipinta su tela mentre insegna alla Vergine le Sacre Scritture.
Il pulpito, due confessionali, uno per parte ai lati della navata, e l’organo, posto sopra l’ingresso della chiesa e suonato alternativamente ai versetti cantati del Credo, davano all’interno l’aspetto grave e solenne di oratorio parrocchiale.
Nel pavimento della chiesa erano stati sistemati i quattro sepolcri e in quello principale al centro della navata erano state tumulate le spoglie di D. Carlo Gaspare Pozzo, il parroco che aveva difeso e ottenuto l’autonomia parrocchiale nella controversia con la matrice S. Lorenzo, con l’iscrizione: «Caroli Gasparis Putei Roncheti Parochi cineres resurrectionem expectantes».

La sacrestia era stata dotata di armadi per i numerosissimi paramenti, suppellettili e reliquiari, tra cui spiccavano i quattro busti in argento dei patroni primari dei Tre Ronchetti, S. Pietro, S. Martino papa, S. Ambrogio e S. Carlo, dei quali le reliquie erano state donate nel 1727 dal vicario generale della archidiocesi ambrosiana, mons. G. Battista Stampa.

Tre campane erano state poste sul campanile, il cimitero aveva avuto la sua grande croce ed una cappella ossario vi era stata costruita, dove un quadro rappresentante la Maddalena vegliava i resti esumati dei defunti.
La parte umana è però quella, che più fa spicco in questa relazione. Il parroco, D. Fermo Valerano, nato a Vigentino nel 1724, era stato nominato per presentazione dei ronchettesi, nel 1754, alla morte di D. Pozzo. Viveva con la sorella e con un domestico ed era dotato di buona cultura letteraria, filosofica e teologica e, soprattutto, zelantissimo nel ministero pastorale.l lavoro spirituale era poi così accresciuto che D. Valerano aveva dovuto assumersi un cappellano, D. Francesco Vivaldo, sacerdote della diocesi di Sarzana.
La popolazione per i benefici effetti delle riforme austriache e del lungo periodo di pace, era aumentata a 626 anime, di cui 446 ammesse alla Comunione.
Cinque erano le confraternite;

  • la prima del Santissimo Sacramento, riconosciuta giuridicamente l’8 gennaio 1722 dal Card. Benedetto Odescalchi, con la divisa dei confratelli a due colori, la tunica celeste e la mantelletta rossa,
  • la seconda del S. Rosario, riconosciuta giuridicamente il 10 marzo 1696 dal maestro generale dell’Ordine domenicano, D. F. Antonino Cloche e dal vicario generale milanese, mons. Lauzzi nello stesso anno il 15 marzo 1696, ed unita alla precedente mediante i medesimi dirigenti,
  • la terza della Carità dei vivi e dei morti, riconosciuta giuridicamente, il 14 settembre 1662, dal Card. Alfonso Archinti,
  • la quarta quella della Dottrina Cristiana, le cui origini risalivano a San Carlo e, infine,
  • la quinta quella della Croce, di cui non si conoscevano né la fondazione né il tempo della sua istituzione.

La scuola della Dottrina Cristiana, oltre la costante numerosa frequenza, era stata vivificata dal metodo socratico del dialogo, sopra tutto, con i ragazzi. I parrocchiani non godevano né di un maestro di scuola, né di un medico, né di un chirurgo, ma potevano contare su buoni sacerdoti e su una brava levatrice cristiana.
A integrare questa situazione cristianamente ottimale era il funzionamento della chiesa sussidiaria di S. Materno, riparata, nel 1739 a spese dell’opera pia di Santa Corona, che vi mandava a celebrare messa, duecento giorni all’anno, un sacerdote, certo D. Radice, il quale sicuramente assisteva spiritualmente anche i fedeli di Ronchettone. A duecento metri dalla parrocchiale era stata edificata pure una cappelletta, meta solo di preghiera, dedicata alla Madonna ed ai santi protettori del bestiame e contro la peste, Rocco e Sebastiano.
La conclusione del delegato arcivescovile non poteva che sanzionare la bontà di questa popolazione: «Tutti per grazia di Dio sono assai timorati e si accostano ai Sacramenti, nessuno è scomunicato né pubblico peccatore».

Non si parla  in questa visita pastorale, né nei documenti precedenti, né in altri, del ciclo di pitture rappresentanti i fatti salienti della vita di S. Pietro. Il Card. Federico Borromeo aveva raccomandato, nel 1610, che non mancasse l’immagine del protettore della chiesa e i ronchettesi sempre obbedienti alle prescrizioni pastorali devono avere adempiuto il mandato. Ma quando? e da chi furono dipinti tali affreschi ? Essi presentano forti somiglianze con le opere di Guido Reni, in particolare, nel martirio di S. Andrea, e con i pennelli dei Procaccini: una data incisa sulla parete 1674 potrebbe portare a qualche discepolo dei due, ma la mancanza di citazioni nelle visite pastorali, meticolosissime e precise nelle relazioni, sino al 1779 compreso, inclina a far pensare ad imitazioni dei grandi artisti più tardive particolarmente riuscite.
Questo ciclo di San Pietro si estende per cinque composizioni, che coprono tutto l’abside della chiesa, e raffigurano: la caduta di Simon Mago – la risurrezione di Tabita – la consegna delle chiavi – la liberazione dal carcere – la crocifissione dell’Apostolo, ciclo assai significativo anche per essere l’unico esistente in Milano sul Capo degli Apostoli.

La parrocchia e la sua chiesa così ben organizzate e dotate, con o senza questi affreschi, erano pronte a una totale emancipazione anche comunale.
Giuseppe II, infatti, appena avuta, nel 1780, tutta la responsabili­tà del potere, per la morte della madre Maria Teresa, fece un primo atto amministrativo, ancor prima di aver ricevuto il giuramento di fedeltà dalle autorità milanesi, con il quale divideva, secondo il piano steso dal marchese Pompeo Litta, commissario generale a Milano, dalla città murata le sue dipendenze agricole, raggruppandole ed elevandole a comune indipendente con la denominazione antica dei Corpi Santi.
L’ordinanza imperiale, in data 21 maggio 1781, specificava i motivi della decisione, cioè di alleviare gli abitanti dei Corpi Santi dagli oneri dei carriaggi e delle prestazioni all’esercito, di stanza nel Castello Sforzesco, e di equipararli ai cittadini milanesi: «..riguardo gli Abitanti del Circondario esterno (a Milano) denominato li Corpi Santi di codesta Città, ed è diretto non solo a sgravare li medesimi dall’obbligo privativo, che ad essi incombe attualmente di seguire le fazioni militari del Regio Castello di Milano, la Direzione delle così dette Anzianerie, ma anche a stabilire fra essi un’Amministrazione economica comunitaria separata da quella della Città, e conforme ai principi, e metodi già prescritti dalla riforma generale del Censo per tutte le altre Comunità dello Stato.»

Milano aveva, quindi, dal 1781, due comuni e due sindaci, quello cittadino e quello del circondario o ducale.
Il secondo comune o dei Corpi Santi era formato dagli abitanti fuori delle dieci porte della città e di quattro località più lontane, raggruppati in sei distretti, secondo il seguente prospetto:
«Corpi Santi della Città di Milano
Porta Comasina, con Porta Tenaglia
Porta Nova.
Porta Orientale, con Porta Tosa, Malnoè, e Cassina delle Rottole. Porta Romana, con Porta Vigentina.
Porta Ticinese, con Porta Lodovica, e Ronchetto delle Rane.
Porta Vercellina, con Portello del Castello.»

Gli ascritti al nuovo comune, pur sgravati dai pesi militari, dovevano però pagare una tassa annuale di L. 3,10 per organizzare l’amministrazione: in particolare:
«8vo Tolti come sopra ed aboliti i sopracarichi particolarmente dei Serviggj del Real Castello, li quali venivano in sostanza a ricadere sulle Persone abitanti nei Corpi Santi, essendo necessario di destinare un Fondo, con cui supplire ai Pesi legittimi, che rimangono ad essi Corpi Santi, ed alle altre spese occorrenti alla Società Comunale de’ Medesimi, resta superiormente stabilita, e prescritta, la Tassa d’annue L. 3,10 da pagarsi dai Maschi abitanti in detti Corpi Santi dagli anni 14 compiti fino agli anni 60 pure compiti, sopra i corrispondenti Ruoli da formarsi annualmente secondo le Regole Censuali.
9no Il prodotto di questa Tassa come sopra sussidiaria, dovrà rimanere per intero a beneficio dei Corpi Santi per le loro opere particolari.
10mo La Tassa predetta non potrà accrescersi al di più delle fissate annue L. 3,10, anzi dovrà diminuire a misura che anderanno scemando i pesi della Società de’ Corpi Santi.»

I benefici di questa iniziativa si fecero subito sentire per Tre Ronchetti, che dal 1775, mediante i suoi fittavoli, e i suoi proprietari nobili, avevano chiesto la riparazione dell’unica strada di congiunzione alla città e su cui passavano i carri con le derrate agricole, e che solamente nel 1784 vedevano cominciare i lavori per il palleggiarsi dell’onere delle spese tra il comune e la provincia di Milano.
Molte furono, infatti, le suppliche inviate al Regio Magistrato cittadino per le strade: la prima fu presentata dal fittavolo G. Antonio Gerli, colpevole di aver allargato un fosso nella sua proprietà e di aver fatto crollare parte della strada già accidentata e per il caso, condannato all’ammenda di 25 scudi:
«Nel riconoscere personalmente il fosso innocentemente aperto dall’umil. Serv.e della Medema Gio Antonio Gerlo, nella strada denominata delli Trè Ronchetti fuori di Porta Ticinese hà avuto campo di riconoscere horrido stato della medema impraticabilissima a condur generi alla Città anche in stagione estiva. Avrà la di lei ampiezza, le profonde Bucche, e Correggie, la di lei tortuosità, e finalmente un Ponte molto angusto piantato direi in un angolo della Strada. Sono pronte le R.R.M.M. delle Vetteri Padrone dell’accennato Ponte e de fondi limitrofi all’indicata Strada rinovare il Ponte più ampio e como­do delli Utenti della medema per rettamente imboccare la Strada, ed il Gerlo supplicante e loro Fittabile con l’assenzo delle medeme: è parimenti pronto tagliar gran parte delle piante, rettifilare il nuovo aperto Cavo, e ridurla col dovuto pendìo delle Acque Pluviali, e ridurla a proprie spese, e vantaggio delli Utenti di essa in stato plausibile..».

Le buone profferte del Gerli non vennero accolte, perchè si pretese che la provincia dovesse accollarsi le spese del rifacimento delle strade, ottenendo una giusta ripulsa, perchè:
«La Strada, che dal Mercato fuori di Porta Ticinese passando dal Borgo della Trinità, le Case dette della Colombetta, la Stadera, Staderetta, e Cassinazza, conduce a Ronchetto delle Rane non essendo Strada Provinciale, non è a carico della Provincia… (ma) è a carico delle dette Comunità per cui passano…»

Si elevarono proteste e suppliche dei nobili proprietari di terre ronchettesi, quali la contessa Rosa Carenni Aliprandi, il conte Gilberto Borromeo, il marchese Roma per il Luogo Pio di Santa Corona e donna Francesca Aliprandi Tosi, perché: «…non solo intendono conti novi riclami da loro Fittabili, ma soffrono altresì da medemi le più forti proteste di non pagamento di fitto per l’impraticabile Strada che da detto sito di Ronchetto conduce a Milano rovinata a tal segno che non si possono fare le condotte de’ generi senza evidente continuo pericolo di rovinare i Carri, e di perdere le Bestie…» e allegavano la supplica dei loro fittavoli, Barinetti Filippo, Brusa Antonio, Carlo Maria Politi e Giuseppe Ferraro: «La strada, che dal Mercato di P.a Ticinese conduce direttamente a Ronchetto delle Rane è sì rotta ed impraticabile per le molteplici profonde buche, ed ineguaglianze notabili..non possono condurre alla Città i rispettivi prodotti, e segnatamente di fieno alle domande de’ compratori. Per supplire alle sud.e inchieste, ò devono rovinare gli attiragli, ed impiegare molti Famiglj per impedire il rovesciamento de’ Carri che a far quattro miglia consumansi quattro ore anche nella State, ò impetrar ogni volta la grazia da possessori delle strade private per il traverso onde portarsi nella Regia Strada Pavese. Non fia meraviglia …se una strada larga, e sì vicina alla Metropoli sia a tal segno, mentre da molti anni fu derelitta ed abbandonata. Ciò è noto ormai alla maggior parte dell’Illustre Nobiltà, alla quale devono i Supplicanti ritardare la spedizione del fieno con notabile pregiudizio, giacchè non lo possono permutare in danaro, e pagare i fitti, ed aggravi.»

Con consigli e delibere non deliberanti, che attribuivano ad altri la responsabilità decisionale, si arrivò alla costituzione del comune dei Corpi Santi, il quale, ottenuti i contributi e le cessioni di qualche terreno, compì, dal 1784 al 1785, l’opera richiesta da dieci anni, così si ebbe anche l’aggregazione dei luoghi più lontani dalla chiesa, la Cassinazza e le Canove, alla nuova parrocchia di Gratosoglio, S. Barnaba, formata nel marzo 1783 dopo l’allontanamento dei Terziari Francescani, decretato il 10 agosto 1782 da Giuseppe II.

Dopo quindici anni di autonomia comunale, il ciclone della rivoluzione francese si portò sui paesi limitrofi e la guerra divampò in Europa e in Italia e toccò, in particolare, la Lombardia: Napoleone, vinti a Lodi gli Austriaci, dilagò per la pianura padana, obbligando gli abitanti a contribuzioni e ad arruolamenti forzati. La pace di CampoforÂmio, nel 1797, fece passare la Lombardia sotto la dominazione francese, dominazione che durerà, pur con la breve parentesi, nel 1799, della rioccupazione austro-russa, sino al 1814 con la denominazione prima di Repubblica Cisalpina e poi di Regno d’Italia. I Tre Ronchetti, rimasti anche nella revisione civile dei funzionari francesi nell’ambito del distretto dei Corpi Santi nel rione di Porta Ticinese dovettero, mediante il parroco, fornire il numero degli abitanti per il censimento contributivo e militare. Esso denota una diminuzione, in 18 anni, dal 1779 al 1797, di più di 100 abitanti, un sesto della popolazione, forse per la guerra, forse per l’avversione emigratoria contro i nuovi venuti in fama di sanguinari e di irreligiosi: in particolare, dai due censimenti rimasti, uno analitico:
«Alla Municipalità del Circondario quarto del Comune di Milano Popolazione nella Parrocchia de’ tre Ronchetti Circondario quarto della Commune di Milano in data della Pasqua del 1797
Fanciulli, che non fanno la Comm.e compresi i nati n° 73
Fanciulle, che non fanno la Comm.e compresi le nate n° 75
Giovani, e uomini non ammogliati n° 102
Giovani, e donne non maritate n° 107
Uomini ammogliati n° 88
Donne maritate n° 87
Parroco n° 1
In tutto num. 513
Famiglie num. 108

Morti:
Fanciulli n° 6
Fanciulle n° 2
Morti Adulti n° 4
Adulte n° 1
che fanno n° 13

Matrimonj segnati nella Pasqua del 1797 n° 4
Così si ricava dallo Stato d’Anime di questa Parochia, p. fede P. Cesare Palazzoli Curato»

e uno sintetico dello stesso anno o poco dopo:

«Libertà e Uguaglianza
Alla Municipalità del Circondario IV  Milano
Il numero preciso della popolazione esistente in questa Parrocchia de Tre Ronchetti Circondario IV esterno della Commune di Milano si è, come qui sotto
Quelli, che hanno domicilio compresi num° 33
Montanari in tutto sono n° 493
Quelli poi, che non sono accasati n° 23
In tutto num° 516

Salute, e Rispetto – P.e Cesare Palazzoli Curato»

Le vicende piccole e tramandate dei Tre Ronchetti in questi anni di sangue, di gloria, di continui rivolgimenti politici furono il trasporto del cimitero, secondo le leggi francesi, fuori dell’abitato, un incendio, senza conseguenze letali né danni gravi e un sospetto di epidemia di animali.
Il cimitero nuovo sorse al punto dove la strada da Milano curvava per Tre Ronchetti in località Gratosoglio: sul luogo antico si allargò la piazza della chiesa, e in fondo rimase solo la cappelletta-ossario di S. Maddalena, riferimento di care memorie.

«Liberta e Uguaglianza al Dicastero Centrale di Polizia – Circa le ore 4 dopo mezza notte, è giunto un espresso a Cavallo a questa Porta dando avviso d’un incendio suscitatosi in un Luogo chiamato Ronchetto delle Rane quasi tre miglia fuori della sud.ta. Ne fu dato avviso al Quartiere della Madalena, e al Cerchio, che immediatamente vi fù spedito un piccolo Corpo di Guardie Nazionali, in seguito vi sono andati i Giuochi d’Acqua, e tuttora vi si trattengono non essendo ancora estinto, dalle notizie avute non sembra che fin ad ora vi sia un gran danno, trattandosi che sia bruciato l’abitazione d’una povera vedova senza alcuna mortalità nè di Cristiani, nè di Bestie…Da Porta Ticinese, 23 Nevoso (gennaio) Anno VI ( 1798) Rep.o».
Se i danni furono misurati, le spese per gli interventi per lo spegnimento furono notevoli.

Quattro anni dopo, la morte improvvisa di un toro generò il sospetto di un inizio di epidemia:
«Milano li 22 Aprile 1802 Anno Primo Ital.o – Denuncia il Console del Circond.o IV di Porta Marenco (Ticinese) come ieri Matina repentinamente è morto un Toro di rag.e del Fittabile Gacomo Ant.o Danione abb.te alli Tre Ronchetti sopra Beni del Luogo Pio di Santa Corona onde sul subito mi sono areccato in detto Luogo, e mentre da alcuni de Suoi Uomini di detto Fittabile se ne stavano scorticandolo detto toro gli ( dissi ) di guardarsi a tagliarsi o farsi qualche Male e facendo tagliare dalla parte della Milza quale la rittrovai più estesa del solito e di una grosseza smisurata ed in più luoghi incancrenita onde del subito li ordinai di non più toccare detta Bestia ma subito di fare una profonda Fossa ove vene interata con averli fato frastagliare in più luoghi la pelle d’indi coperta unitamente alli interiori con Letame i nfrangidito e Terra ben battuta il tutto a tenore delli Ordini. Son passato poi in seguito a Nome di questa Commissione a pore sotto sequestro però dopo la sua Possessione N” Sei Bovi e n° Trenta Otto Vacche di rag.ne del detto Fittabile Danione e ciò sino a novo ordine di questa Commissione.
In Fede etc. Salute e Rispetto – Gio Vboldi Console».

Per evitare conseguenze gravi possibili furono così messe in quarantena e sotto sequestro tutte le bestie: passato questo periodo su richiesta dello stesso fittavolo, Giacomo Antonio Danione, la Commissione di Sanità tolse il sequestro:
«Verificato l’esposto del Cittadino Danione si ordini alla Deputazione dell’Estimo, e Console dei trè Ronchetti, che ponga in libertà i bovini del sudetto Fittabile».

Ritornati gli Austriaci, nel 1815, e restaurato il comune dei Corpi Santi, non si tennero in debito conto le idee acquisite di libertà e di democrazia, portate dalla Francia, valide anche al di là della non avvenuta applicazione e iniziò così la gloriosa epoca risorgimentale, che porterà all’Unità d’Italia. Periodo scosso spiritualmente da una ripresa di coscienza religiosa dopo i conati contrari dei rivoluzionari e dei napoleonici e poi da un allontanamento graduale non dalla Fede, ma dall’autorità ecclesiastica espressa nei preti, ritenuti di ostacolo all’unificazione nazionale per i loro legami con il Papa, allora capo dello Stato Pontificio esteso nell’Italia Centrale dalla Romagna sino ai confini della Campania e delle Puglie, con esclusione della sola Toscana. Qualche lieve avvisaglia di mutamento nei rapporti religiosi si nota anche ai Tre Ronchetti, dove alcuni nuovi proprietari, De Herra e Solinas, nel 1828 e nel 1831, contestano le elargizioni o decime da offrire annualmente per il sostentamento del parroco.

Le Cinque Giornate di Milano furono sicuramente sentite dai ronchettesi, legati per motivo di lavoro ai nobili, sostenitori morali della rivolta, e malcontenti per la recessione economica, che nel 1848 affliggeva l’Italia e i paesi europei. I ronchettesi parteciparono con derrate alimentari e, soprattutto, con i giovani, arruolati nella guardia civica e qualcuno, forse, nell’esercito piemontese, il quale aveva occupato la Lombardia. La sconfitta di Custoza, a pochi mesi dalla rivoluzione popolare, pose fine a tante speranze e Radetzky a capo degli austriaci rientrò a Milano ai primi di agosto del 1848.
Significativi sono tre manifesti, uno sul prezzo del pane nei Corpi Santi, emanato in data 1° gennaio 1848 dalla municipalità, comminanti multe salate al panettiere per varie frodi, tra le quali «60 Che ommettesse il bollo alle pagnotte o panatelle di qualsivoglia qualità» e due pubblicati dal FeldMaresciallo austriaco, di cui il primo, in data 10 agosto 1848, riordinava l’amministrazione dei comuni e delle parrocchie, e l’altro, in data 7 settembre 1848, imponeva la consegna di tutte le armi e munizioni con pene ai trasgressori di essere deferiti alla corte marziale. La reazione austriaca contro i vinti lombardi non fu o quasi sanguinosa, ma pesante economicamente: i nobili e i commercianti furono tassati enormemente per contribuzioni alle spese di guerra e, di conseguenza, i loro contadini, mentre gli impiegati statali furono inquisiti e licenziati o retrocessi in base alla loro maggiore o minore partecipazione alla rivoluzione. Furono dieci anni, 1848-1859, da dimenticare, ma utili per convincere anche i più legittimisti e fedeli all’Austria quanto fosse deprecabile la soggezione politica ad una nazione straniera e desiderabile l’indipendenza italiana. I ronchettesi esultarono, quando nel giugno 1859 Vittorio Emanuele II e Napoleone III entrarono a Milano e ancor più quando la Lombardia fu unita al Piemonte e, nel 1861, fu proclamato il Regno d’Italia.
L’unificazione politica fu intesa dai più poveri e meno avvezzi alle distinzioni anche come una unificazione economica di superamento degli enormi squilibri sociali e non di miglioramento graduale delle condizioni materiali e così essi fecero scoppiare tumulti contro i padroni, non solo in Sicilia a Bronte, ma che in Lombardia e nel milanesato, provocando l’intervento della forza pubblica.
Gli abitanti dei Tre Ronchetti, bene istruiti nel vivere cristiano, si astennero da questi moti inconsulti, ottenendo il riconoscimento delle autorità comunali espresso al parroco, maestro e guida del suo popo lo, al quale si chiedeva ufficialmente la collaborazione al mantenimento dell’ordine tradizionale: «Milano, il 6 Agosto 1860 – Al Sig.re M.R. Parroco di Tre Ronchetti – Dell’agitazione che si manifestò in qualche luogo della Provincia fra i contadini contro i proprietari delle terre locate loro in affitto, non si ebbe nemmeno un sintomo nel nostro Comune de’ Corpi San­ti..II Sindaco – Barzanini».

I ronchettesi recepirono e si adattarono alla nuova legislazione piemontese, la quale dal sindaco, sotto forma di circolare veniva passata ai parroci per favorirne la comprensione e l’applicazione.
La giunta municipale dei Corpi Santi premiò la collaborazione ecclesiastica concorrendo alle spese fatte dal novello parroco di Tre Ronchetti, D. Bartolomeo Silva, insediatosi nel 1860, per rifare due pavimenti, per poter ridurre la forte umidità della canonica, priva di scantinato, per disinquinare il pozzo, per riparare il campanile, per tinteggiare o imbiancare le pareti della chiesa.
L’armonia costruttiva, purtroppo, stava per finire: dopo 92 anni il comune dei Corpi Santi fu sciolto o meglio assorbito nel comune di Milano. La Rivoluzione industriale, nei primi anni della seconda metà del sec. XIX, aveva raggiunto anche l’Italia e Milano in testa stava convertendo la sua economia agricola in industriale e aveva perciò bisogno di spazi per fabbriche e case operaie e questi spazi si potevano trovare solo nei Corpi Santi, che dovevano quindi tornare ad essere inglobati nell’antico comune metropolitano.
Vibranti furono le proteste degli abitanti dei Corpi Santi, compresi che tale riunione li avrebbe fatti divenire cittadini di estrema periferia con le tristi conseguenze di abbandono o di trascuranza da parte degli amministratori comunali, preoccupati per ragioni di prestigio del centro cittadino, ricco e potente: «… la nostra giusta e calorosa difesa, i voti unanimi della nostra Rappresentanza Comunale, i nostri reclami, le nostre dimostrazioni, i diritti e gli interessi nostri, saranno considerati un nulla in confronto alle esigenze di quei potenti ed influenti che pensano di accrescere lustro alla già tanto illustre Milano, col sacrificio di un Comune importante e florido la cui autonomia ha giovato e giova alla Città non meno che a se stessa.»

Queste parole amare anticipavano la soppressione del comune dei Corpi Santi, avvenuta per decreto di Vittorio Emanuele II, primo re d’Italia, in data Roma, 8 giugno 1873: «Considerando che per la singolare situazione topografica del Co­mune dei CC.SS., rispetto al Comune di Milano, e per la connessione degli interessi resulta la convenienza e la opportunità della riunione in uno solo di quei due Comuni, per virtù della quale potrà ovviarsi ai molteplici inconvenienti che nascono dalla separazione artificiale di due popolazioni e di due territori che vivono della medesima vita e fruiscono del beneficio dei medesimi pubblici istituti.. Abbiamo decretato e decretiamo:
Articolo I A cominciare dal 1°settembre 1873 il Comune dei Corpi Santi sarà unito al Comune di Milano..»

Questa unione iniziava anche la decadenza dei Tre Ronchetti, che avrebbe trovato appena nei suoi parroci i difensori dei suoi diritti e, soprattutto, i fattori di tante sue esigenze per stare in corsa con il progresso di tempi grandi non solo per guerre, ma per sviluppo civile.