L’impulso, ricevuto dalla visita pastorale del card. Federico Borromeo, infervorò sicuramente i ronchettesi a completare la costruzione della chiesa, della sacrestia e del campanile. L’amore di Dio, però, esternato nel culto, non venne mai meno e, nel 1635, resasi libera la casa di Gerolamo Silva, da lui lasciata, nel 1605, in testamento alla confraternita del SS. Sacramento, si atterrò un locale per trarre il materiale per costruire la sacrestia della chiesa e il luogo fu ridotto ad orto sempre a beneficio delle opere parrocchiali, in particolare.Gli avvenimenti, però, precipitavano: si era ormai alla vigilia della guerra dei Trent’anni, 1618-1648, e dei saccheggi dei lanzichenecchi calati su Mantova. La peste, così ben descritta dal Manzoni ne “I promessi sposi”, al seguito degli invasori, fece strage dei lombardi e, in particolare, dei milanesi. Terminata la falcidie di questo flagello si fece il conto dei superstiti.Di Tre Ronchetti rimane un utile “Quinternetto delli Capi di casa della parochia di Santo Pietro delle Tre Roncheti P.Ticin. di Milano – 1630”, dal quale si apprende che la parrocchia comprendeva 34 case più la canonica, di cui alcune appartenenti a monasteri e ad opere pie, quali Santa Croce, Santa Corona, Ospedale Maggiore, S. Pietro in Gessate, altre a nobili milanesi, quali i Visconti, gli Arconati, i Borromeo, i Trotti, i D’Adda, altre ancora a possidenti cittadini e poche a residenti, tutte come alloggi dei contadini o «brazanti» o «bergamini» o «folladori» o «pescadori», ospitati per coltivare ed irrigare le terre di proprietari lontani. I capifamiglia risultano distribuiti in 11 fittavoli, artigiani, 3 casalinghe, 1 sarto, 1 oste, 106 braccianti, 4 bergamini, 3 folladori, 5 pescadori, 1 straccivendolo e .. 1 mendicante: una parrocchia prettamente rurale. Tra i braccianti capifamiglia sono ben 24 donne, probabilmente vedove, che dovevano pensare ai figli, a dimostrare le conseguenze dolorose dei conflitti e della peste, che obbligavano le madri, rimaste sole, ai duri lavori degli uomini. La miseria, dopo tanti flagelli, fu talmente grave da obbligare i fittavoli, che potevano usufruire di cento pertiche a chiedere e ad ottenere, nella Pasqua del 1639, dal parroco, D. Carlo Alessandro Sassi, di non pagare più le quaranta lire a testa per il mantenimento del parroco stesso e da versarsi a ogni Pasqua, concessione continuata sino al 1660 anche dal successore, D. Giuseppe Bozzo. “..sicome l’anno 1635 essendo morta Ambrosina Silva sorella del quondam Gerolamo, il Priore et Scuolari della Ven. da Scuola del Santissimo Sacramento eretta nella Chiesa Parochiale di S.Pietro del Luogo di Ronchetti Corpi Santi di Milano, come herede detta Scuola del sudetto quondam Gerolamo Silva prese il possesso de beni da questo lasciati nella sua heredità, fra’ quali vi era una Casa consistente in dieci luoghi, uno de quali da detta Scuola dopo preso il possesso, cioè quello vicino al forno verso la strada, fu gettato a Terra per servirsi del Materiale per fare la Sacrastia a detta Chiesa, et del sito di detto luogo gettato a Terra, come sopra, la medema Scuola se ne valsa per fare un horto qual si ha poi incorporato con altri horti di detta Chiesa..”. Dopo ogni calamità gli uomini trovano per le imperscrutabili vie della Provvidenza la forza della ripresa ed anche Tre Ronchetti riprese a vivere in modo ordinario e ad assaporare il miglioramento progressivo delle sue condizioni economiche. Si costituì allora la “Compagnia della Carità dei vivi et Deffonti”, anticipazione delle Conferenze di San Vincenzo de Paoli, ideata e regolata anch’essa da San Carlo e auspicata in ogni parrocchia per soccorrere i poveri e per confortarli con le visite nei loro tuguri e con l’elargizione generosa degli aiuti più necessari: “..nel luogo, che sarà deputato, (la confraternita della Carità si radunerà la prima domenica del mese), per trattare insieme in charità delli bisogni spirituali e temporali de gli habitanti nella parochia e del modo e via di provedervi.. Procurino anco li Visitatori elemosine et ogn’altra sorte d’aiuto alli bisognosi della parochia.. Alli poveri infermi oltre il vivere provedano anco di medicine..”. Nella ricorrenza del primo centenario della costituzione della parrocchia si decise, forse, di costruire a spese della Confraternita della Carità, la quarta dopo quelle della Dottrina Cristiana, del SS. Sacramento e del S. Rosario, l’altare di San Michele, l’angelo della giustizia e della misericordia di Dio, a difesa degli uomini, e si commise ad artisti innominati la fattura dell’altare e dell’«iconia» o quadro dell’Arcangelo. Compiuti i lavori, nel 1670, il parroco, D. Giuseppe Bozzo, chiese al competente ufficio curiale la benedizione dell’altare e di poter portare in processione per le vie della parrocchia, appena per quella volta, l’«iconia» di San Michele: “Giuseppe Bozzo, Curato della Chiesa di S. Pietro di Ronchetto ne Corpi Santi – Porta Ticinese, fedele servo di Vostra Signoria Reverendissima havendo procurato sii construtto un Altare di nuovo che mancava in detta Chiesa et dipinta l’Iconia di S. Michele per erigere la Compagnia della Carità de vivi, et Deffonti, con facoltà già hauta dall’Em.mo Sig. Cardinale Litta Arcivescovo et essendo perfezionato in tutto resta solo per la Benedizione di detto Altare et Iconia, quale si dessidera portar in processione et non potendosi celebrare la Santa Messa, se prima non sii fatta la detta Benedizione del Altare et Iconia per ciò Supplica humilmente Vostra Signoria Illustrissima volere ordinare chi più li parerà per Benedire detto Altare et Iconia acciò si possa celebrare la Santa Messa per avere il Culto del Signore Iddio presso li fedeli, et dare licenza che per questa volta sola si facci la processione con detta Icconia, il che spera etc.“. Questa cappella di S. Michele, a cui poi verrà aggiunta la raffigurazione plastica del Purgatorio, fu sicuramente preceduta da quella della Madonna del Santo Rosario, antecedente anche alla sacrestia, e per la quale s’intensificò la devozione mariana, tanto che il quinto parroco, D. Benedetto Tosi, la arricchì di un suo lascito testamentario, confermato dagli eredi, per la celebrazione settimanale in perpetuo di due messe a quell’altare della Vergine.Di questa ripresa fanno pure testo le suppliche al governo spagnolo, negli anni 1670, 1688, 1705, 1706, 1708 1716 e poi al governo austriaco negli anni 1720 e 1721, di alcuni ronchettesi, di affittare le loro folle o pozze d’acqua a lavoranti di paesi vicini, raccoglitori «di strazzi e di carnuzzi» per farne «papiro e carta» e avviare un commercio redditizio, a cui il governo solitamente concedeva la licenza con la formula burocratica a firma del cancelliere regio: «Ill.mi Sig.ri – Fanno Fede io in funzione di Regio Cancelliere dell’Ill.mo Magistrato Ordinario dello Stato di Milano, sicome in nome di… fillatori, o siano fabricatori di papiro, e carta nel luogo di Ronchetto entro de Corpi Santi di Porta Ticinese di questa Città, è stata data nelli miei atti la debita sigurtà alla forma della grida publicata per l’estrattione di strazzi ad istanza di..». Appendice di queste cose serie fu la lite non edificante e alla nostra sensibilità non accettabile con la chiesa matrice di S. Lorenzo, dura a comprendere le condizioni economiche difficili delle parrocchie filiali di Tre Ronchetti e della Barona, con corsi e ricorsi alle curie milanese e romana, per il rispetto dei privilegi ottenuti nel distacco di queste comunità, quali l’offerta annua di candele, di prelazione nella chiamata per funzioni solenni dei suoi sacerdoti, soprattutto, per la festa patronale. Un incartamento, a stampa e a mano, di ben 742 fogli, conservato nell’Archivio di Stato di Milano, snocciola le fasi di questa causa, iniziata il 20 aprile 1738, e i fatti testimoniali avvenuti dalla fondazione delle nuove parrocchie. Questo, infatti, il primo ricorso giudiziale, ricusatorio dei diritti della matrice, quando nelle funzioni solenni non si superava il numero di sette sacerdoti: «1738, a 20 Aprile – Per il tenore della presente, quale vogliono le infrascritte parti abbia forza come se fosse publico e giurato instrumento con le dovute solennità e clausole requisite le infrascritte parti cioè il M.R. Sig. Carlo Gaspare Pozzo presentaneo Paroco del luogo di Roncheto dentro de Corpi Santi, e li infrascritti homini del Comune, o sia vicinanza del sodetto luogo di Ronchetto, anche come offiziali, e deputati del SS.mo Rosario, e Sacramento della Chiesa Parochiale dello stesso luogo hanno convenuto, e convengono, che detto Sig. Curato tanto à nome proprio, come à nome di detti infrascritti homini e come sopra debba promovere la lite in questa Curia Arcivescovile di Milano, e avvanti qualunque Giudice delegato ò altro Tribunale secondo porterà il bisogno contro il M.R. Capitolo di S. Lorenzo Maggiore di questa Città pure di Milano ad effetto venga deciso non competere la raggione à detto V. Capitolo, ò sia Preosto, e Canonici di S. Lorenzo soddetto di fare le fontioni in detta Chiesa Parochiale nel giorno solenne, e Titolo di S. Pietro, ò sia qualunque altra fonzione, quando queste si facino con soli sette Sacerdoti compreso il Paroco giusta la dispositione, ò sia fondatione di detta Chiesa Parochiale attribuendo allo stesso Sig. Curato ogni facoltà di comparire à qualunque atto necessario farsi per il proseguimento, et terminatione totale di detta Causa, anche se si esiggesse la presenza de medemi homini come sopra con promessa di attendere, e osservare tutto ciò per detto effetto sarà operato dal medesimo Sig. Curato per maggior vallidità de presente si sono sottoscritti. Il summum jus o il diritto applicato alle estreme conseguenze, invocato dai ronchettesi, per cui il vicario generale di Milano intimò per quell’anno al clero della matrice di astenersi dall’andare alla festa patronale di S. Pietro, e la summa injuria o convinzione del prevosto e del capitolo di S. Lorenzo di subire un’ingiustizia provocarono l’acuirsi del contrasto. Prima dell’intimazione, in data 28 giugno 1738, del vicario generale, mons. Giovanni Mantique, arciprete del Duomo, alle parti di astenersi per quell’anno da ogni solennità per la festa di S. Pietro ai Tre Ronchetti, pena 200 scudi per i trasgressori, i contendenti, da aprile a fine giugno, avevano accumulato le testimonianze a loro favore. I chierici sacristi, dal 1713 al 1738, attestarono, per S. Lorenzo, di avere ogni anno accompagnato prevosto e canonici a quella patronale senza contestazione alcuna. I francescani di Gratosoglio e i preti di Quintosole, per i ronchettesi, sostennero la presenza del clero di S. Lorenzo solamente perchè i sacerdoti invitati superavano il numero di sette; in particolare, i francescani: «1738 a 15 Giugno in Gratosoglio – Attestiamo Noi infrascritti Religiosi nel Convento di S. Barnaba del Terz’ordine di S. Francesco che con nostro giuramento sì come la verità fu et è che la Festa Titolare de Santi Pietro e Paolo nella Chiesa Parochiale di detti Santi del luogo di Ronchetto dentro de Corpi Santi della Città di Milano è stata celebrata con intervento di quantità di Sacerdoti eccedenti il numero sette ogn’anno da molto tempo à questa parte, e ciò lo deponiamo per essere stati per molti anni invitati, e intervenuti à detta fonzione..» La domenica, 29 giugno 1738, festa dei Santi Pietro e Paolo, nonostante che i ronchettesi, informati della decisione dei preti di S. Lorenzo, avessero invocato l’intervento del Vicario Generale, il fattaccio avvenne. La lite, quindi, divampò: si richiesero alle parti la narrazione scritta e testimoniata del fatto. Furono presentate due versioni: una per S. Lorenzo alquanto addomesticata e l’altra indignata dei ronchettesi. Non vi fu possibilità di compromesso, per cui ci si appellò a Roma, provocando un breve di Clemente XII, in data 21 maggio 1739, che rimandava la causa a Milano, eleggendo come giudice arbitro mons. Francesco Maria Rivolta, dottore in utriusque jure, parroco della chiesa cittadina di S. Pietro alla Vigna. Urgendo poi la patronale di S. Pietro, per il 1739, affrettarono i nobili, possidenti di terreni ai Tre Ronchetti, i conti Giovanni Benedetto Borromeo Arese, Giuseppe Arconati Visconti, Gaetano Aliprandi a chiedere e ad ottenere la sospensione di ogni solennità per quella festa e di conseguenza l’inibizione a quei di S. Lorenzo di ripetere lo scandalo dell’anno prima, petizione ripetuta per il 1740. In questi anni, 1737-1739, la Chiesa milanese era afflitta dalle dimissioni per infermità del suo insigne arcivescovo, il card. Benedetto Erba Odescalchi, e dalla lenta assunzione di potere del successore, il card. Carlo Gaetano Stampa. Il nuovo pastore, entrato ufficialmente nelle sue funzioni, il 1° maggio 1739, s’interessò direttamente della causa e frappose la mediazione del marchese Teodoro Alessandro Trivulzio, che riuscì a ridurre le ragioni dei contendenti ad una transazione onorevole: il clero di S. Lorenzo rinunciava per sempre ai suoi diritti secolari, eccetto il diritto di funzione, in occasione della morte del parroco, per il funerale e per l’unita ufficiatura funebre, i ronchettesi, per gratitudine verso la matrice, offrivano un dono, continuavano l’oblazione di una libra di cera nella festa di S. Lorenzo e invitavano, per l’ultima volta, il prevosto ed i canonici della basilica laurenziana alla loro festa patronale di S. Pietro a cantare la Messa ed i Vesperi. Sotto forma di suppliche all’arcivescovo, il prevosto e il capitolo di S. Lorenzo, il 24 giugno 1741, dopo una consultazione interna favorevole, e, il 25 giugno 1741 il parroco di Tre Ronchetti, previa pure una consultazione favorevole dei capifamiglia (intervennero all’assemblea ronchettese 72 capifamiglia, più dei due terzi prescritti) presentarono negli stessi termini questi punti di accordo: «[…] viene proposto, e stabilito che nell’anno corrente ( 1741 ) dalli detti R.do Parocho, ed Uomini si facci solennizare la Festa dei SS. Pietro e Paolo, precedendo l’invito per il canto della Messa e Vesperi del Sig. Preposto di S.to Lorenzo, o lui impedito l’altro del Ven.do suo Capitolo in seguito di che la chiesa di Roncheto, ed i detti R.do Parocho, ed Uomini, ò chiunque altro vi abbi interesse restino esenti, e liberati di fatto da qualsiasi soggezione, che possa pretendere la chiesa di S. Lorenzo come Matrice mediante donativo da farsi una volta tanto alla Chiesa sodetta Collegiata di S. Lorenzo ad arbitrio dell’Ill.mo Sig. Marchese don Teodoro Alessandro Trivulzio salvo però sempre che da quel R.do Curato, e Popolo di Ronchetto debba continuare l’annua prestazione della libra di cera, sin ora contribuita alla detta chiesa, e Capitolo di S. Lorenzo, e che in oltre s’intenda unicamente riservata alla d.a chiesa di S. Lorenzo la raggione del Funerale ed Ufficio, che si celebreranno immediatamente alla morte dei RR. Parochi di Ronchetto […]». Il marchese Trivulzio, dopo che il presule ambrosiano, ottenuti gli indulti per decidere da Roma, a cui i contendenti si erano appellati, approvò, il 24 novembre 1741, l’accordo, precisò il donativo: «1741 a dì 23 dicembre – In virtù dell’arbitrio à me concesso da soprascritti Sig.ri Preposto, e Canonici delegati dal Ven.do Capitolo di S. . Lorenzo, e Curato, e Ferdinando Cadamo come Procuratore di Ronchetto, dichiaro, che il donativo da farsi dal Sig. Curato, ed Uomini di Ronchetto alla Chiesa Prepositurale di S. Lorenzo debba consistere in una pianeta, piviale, e due dalmatiche con velo di calice di drappo di seta cremisi tessuto à oro con guarnizioni d’oro in tutta simile al drappo, e guarnizione del pallio pure cremisi tessuto à oro ultimamente fatto à spesa della Ven.da Fabrica di S. Lorenzo per l’Altare maggiore secondo resta riconosciuto, ed accordato dalle Parti. Sottoscritto Teodoro Alessandro Trivulzio». Il 30 dicembre 1741, la transazione fu trascritta dal notaio arcivescovile Antonio Pietro Rusca, mentre i ronchettesi si davano da fare per raccogliere le duemila lire imperiali occorrenti per onorare il loro impegno. La vertenza pur coi suoi lati paradossali e scandalistici e con lo spreco veramente notevole di denaro per denunce e ricorsi, avvocati e giudici, citazioni e testimonianze, denota l’amore alla propria chiesa, al proprio parroco, alla propria comunità, la ripulsa decisa di ogni vincolo feudale, l’affermazione dei tempi nuovi di un maggior rispetto della persona umana, senza ostacoli di cariche o onori ecclesiastici, la scomparsa, infine, di quei contadini legati alla gleba dei signori della città, preludio alla formazione del comune dei Corpi Santi, svincolato da quello di Milano. |