Capitolo 4: Quarant’anni dopo

Il saggio e forte governo di San Carlo mediante l’oculata applicazione delle norme tridentine e diocesane e la costante presenza nell’attività dei suoi preti trasformò Tre Ronchetti in una parrocchia modello. I registri dei battesimi dal 1593 al 1655 e dei matrimoni dal 1594 al 1655, scampati forse alla distruzione dei monatti, che bruciavano tutto quanto trovavano nelle case infette e probabilmente anche nella canonica durante le pesti ricorrenti nei secoli XVI e XVII, rivelano in alcuni particolari la legislazione dell’incomparabile Arcivescovo. “Obstetricibus autem, quae baptizare consueverunt, formamque Baptismi tenent, baptizare quidem necessitate urgente, permittitur” questa disposizione fu applicata in più casi e registrata con la formola: “è stato(a) battezzato (a) a casa per necessità” ad esempio, dalla buona levatrice di Tre Ronchetti “Iacomina de Vecchijs”.

Per i matrimoni:

“Si qui, aetate etiam legitima, et Parocho prae­sente, testibus duobus adhibitis, et notario item, jurati spoponderunt se matrimonium inituros.. ad praescriptum Concilii Tridentini” questa conclusione, che corona le norme in proposito del Concilio Provinciale V, viene dal 1603 usata pure per tutte le trascrizioni dei matrimoni dei ronchettesi:  “..secondo l’ordine del Sacro Conc. Trid.

Disposizioni per la santificazione dei fedeli riguardarono, in modo particolare, la predicazione ordinaria e straordinaria: quest’ultima doveva essere intensificata nei periodi d’Avvento e, soprattutto di Quaresima e relazioni dovevano essere inviate sullo stesso predicatore e sull’efficacia dei suoi sermoni.

“Visitator in urbe, et Vicarius foraneus in dioecesi, tum per se, tum etiam per Parochos aliosve pios viros, Quadragesimae tempore singulos concionatores observent: de iisque antequam Dominica in Albis depositis adveniet.. ad nos per literas deferant.” questa nor­ma fu osservata anche nella parrocchia di Tre Ronchetti come attesta il conservato certificato di merito del predicatore francescano:

“Fede del Curato di Ronchetto per il R.do Predicatore dell’anno 1596.
Io Prete Aluigj Abiati Curato delli Ronchetti ne’ Corpi Santi fac­cio fede come il R.P. Gio B.ta da Deri del ord.e de S.to Francesco ha predicato nella medema chiesa parochiale di S.to Pietro dal quale se ne havuto molto satisfatione essendosi egli diportato honoratamente et ha fatto molto profitto et in fede della verità ho fatto la presente il dì 15 Aprile 1596 – Io Prete Aluigi Abiati uti affirm.te”.

Copertina della visita del Card. Federico Borromeo (1610)

 

I terreni attorno alla parrocchia di Tre Ronchetti erano divenuti in gran parte proprietà dell’abbazia di S. Celso in Milano, quando nel 1493 “a dì 5 novembre” furono affittati in perpetuo al nobile Renato Trivulzio, il vecchio, e dopo di lui ai discendenti Francesco e Renato, il giovane. Alla morte di quest’ultimo passarono in eredità, nel 1566, alle avite famiglie dei Borromeo e degli Arconati. Il Card. Federico Borromeo, venutone in possesso, li trasferì, il 24 gennaio 1602, al fratello Renato e questi al figlio Carlo, sotto il quale si aprì un’annosa lite, dal 1643 al 1704, con il cardinale principe Teodoro Trivulzio, commendatario dell’abbazia di S. Celso.

I Borromeo erano divenuti così per felice disposizione della Provvidenza i protettori dei Tre Ronchetti: San Carlo aveva voluto la parrocchia proprio l’anno dopo l’eredità Trivulzio, nel 1567, e quarantatré anni dopo il Card. Federico Borromeo veniva in visita pastorale ad ammirare i frutti (lei veneratissimo cugino, a brevissimo spazio dalla sua canonizzazione.

Mappa della parrocchia di Tre Ronchetti (1610)

Questi frutti erano derivati dall’applicazione metodica delle norme caroline nel pastore, nei fedeli e nell’ovile.

Il parroco era D. Luigi Abbiati, milanese, il cui curriculo sacerdotale era cominciato sotto San Carlo, il quale gli aveva concesso a 12 anni di vestire l’abito sacerdotale e il 10 marzo 1582 in Duomo lo aveva tonsurato.

L’Abbiati aveva una sufficiente cultura umanistica, appresa nel seminario di Milano, e teologica imparata da P. Gaspare del convento metropolitano di S. Gerolamo, ed era stato beneficiato, prima del suddiaconato, ricevuto il 18 settembre 1593 da mons. Gaspare Visconti, il successore di S. Carlo, con il titolo parrocchiale di Tre Ronchetti, occupato il 1° settembre dello stesso anno: divenuto sacerdote, il 18 dicembre 1593, aveva subito iniziato il suo ufficio pastorale nel 1594.

Di 42 anni, da 16 anni reggeva la parrocchia: viveva solo, non aveva né domestica né sacrestano, per cui, qualche volta, nei giorni feriali, non poteva celebrare la messa per la mancanza dell’inserviente. Di aspetto normale e curato, con barba, di salute malferma, godeva buona fama nella popolazione per la diligenza nel suo ufficio e nell’osservanza dei decreti tridentini e delle norme caroline di applicazione. Confinato in questa parrocchia periferica e con poteri limitati, anche perché non poteva recarsi per la distanza alle congrega­zioni mensili del clero, aveva un intenso desiderio di cultura, manifestato da una biblioteca di 46 opere in più volumi, disponibili pure ai parrocchiani, nella quale non mancavano gli scritti di S. Antonino, di P. Luigi di Granada, di S. Tomaso d’Aquino, testi consigliati e poi imposti da S. Carlo. Era provvisto del reddito ordinario, stabilito da S. Carlo, di lire imperiali 300, aumentabile secondo l’intenzione del Santo, che si raddoppiava con gli straordinari. La canonica era dignitosa, vicina alla chiesa, circondata da un giardino di due pertiche ed era composta di sei vani principali, tre al piano terreno e tre sopra: la sala, la cucina, il riposti­glio per il vino e tre stanze superiori, alle quali si saliva da una scala di legno dalla cucina, il tutto costruito dai parrocchiani sempre secondo l’accordo con il provvido Arcivescovo.

Il gregge di questo buon parroco, dopo la terribile peste del 1577, era tornato nuovamente al numero costitutivo della parrocchia, 550 anime, di cui 360 avevano raggiunto l’età per ricevere l’Eucaristia. I confini erano stati ben determinati e si snodavano ai margini delle parrocchie di S. Gottardo, Vigentino, Quintosole, Ponte Sesto, Quinto Stampi.

La popolazione si concentrava, soprattutto, in cinque cascine e quindi trovava ostacolo nella distanza ancora eccessiva a venire alla chiesa, in particolare, gli abitanti della Cassinazza, lontani un chilometro e circondati da fossati, nei periodi di pioggia intensa, non guadabili.

Alimentavano la fede dei ronchettesi tre organizzazioni, per l’esattezza due più una, aggiunta al termine della vita di S. Carlo per con­solidare la pietà eucaristica con la devozione mariana; esse erano la Scuola della Dottrina Cristiana, la confraternita del Santissimo Sacramento e la confraternita del Santo Rosario.

La Scuola della Dottrina Cristiana rappresentava la principale istituzione, voluta dal Santo Cardinale nel Concilio Provinciale primo nel 1569 ed alla quale aveva dato le regole più minute. Es­sa preparava, dirigeva e assisteva lo svolgersi della vita cristiana nella parrocchia, alla quale sotto la direzione del parroco e coadiuvato dagli “Operarii” e dalle “Operaie” distinti gerarchicamente in priore e priora, sottopriore e sottopriora, discreti, pacificatori, precettori o bandi­tori, infermieri, portinai, silenziarii o prefetti di disciplina convenivaÂno con frutto tutti i parrocchiani con alla testa i padri di famiglia.

La confraternita del Santissimo Sacramento era più antica, precedente almeno di trent’anni all’istituzione della parrocchia, come appare dall’indulgenza concessa da Paolo III, il 30 novembre 1539 e si era adeguata alle norme direttive di S. Carlo, edite nel 1565, con il priore, il sottopriore, il tesoriere e l’elemosiniere. Essa, per aiutare iniziative benefiche, possedeva degli immobili, lasciati dai soci, come una casa di Battista Camperio in Ronchetto inferiore rendente, come affitto, lire imperiali 13 ogni anno.

Ultima ad essere eretta fu la confraternita del Santo Rosario, voluta da S. Carlo, perchè: “È ben dovere che dove è la Compagnia di Christo nostro Signore vi sia etiandio quest’altra della santissima sua Madre, nostra piissima Signora et Avvocata.” e la Compagnia di Christo Signore o del Santissimo Sacramento di Tre Ronchetti fu anche quella del Rosario.

L’ovile o chiesa di S. Pietro era in fase di ricostruzione e di ampliamento secondo gli accordi per la fondazione della parrocchia: “[…] rivolta ad oriente, di forma quadrata, ad una sola navata, alta 14 cubiti ( circa 7 metri ), larga similmente e lunga 36 cubiti ( circa 18 metri ), abbastanza ampia per raccogliere i fedeli, in parte fu rinnovata e parte verrà rinnovata per darle un aspetto più artistico: il pavimento è in mattoni, a livello della strada e tenuto sempre bel pulito, le pareti imbiancate il tutto coperto dal soffitto, anch’esso sovente pulito e liberato dalle ragnatele”.

Pianta della chiesa di S. Pietro (in alto) e l’oratorio di S. Materno ai tempi di Federico Borromeo

I suoi muri esterni erano colorati e la facciata, ornata ai lati dai dipinti dei santi Pietro e Paolo, aveva un solo ingresso di quattro metri d’altezza e due di larghezza, ben munito da porta con serratura, catenaccio e chiavi: una costruzione adeguata alle norme caroline.

In osservanza, poi, degli ordini ricevuti, dopo la visita pastorale del Santo e secondo le sue disposizioni generali, il tabernacolo eucaristico era stato costruito, anche se trovato ancora troppo piccolo e non sufficientemente artistico, in legno, di forma quadrata, dorato e ornato di pitture, tappezzato all’interno di seta rossa e coperto da un velo serico pure rosso, come vuole il rito ambrosiano, e vigilato giorno e notte da una lampada ad olio, comperato a spese della confraternita del SS. Sacramento.

In attesa del completamento della ricostruzione della chiesa, nel luogo dove sarebbe sorta la cappella del Battistero, in fondo alla navata a sinistra, era stata posta una vasca di pietra chiusa da un ciborio o coperchio, a forma piramidale, di noce ben lucidato e coperto da una tela di San Gallo di color violaceo: sul davanti del ciborio era dipinta l’immagine del Battista amministrante il battesimo di penitenza al Redentore e tutto ancora in osservanza delle disposizioni del Santo Arcivescovo.

La sola cappella maggiore era stata terminata nelle sue strutture murarie, con il suo altare e il coro: precisamente: “La cappella maggiore rivolta al sorgere del sole, costruita a forma di emiciclo, è larga 10 cubiti ( metri 5 ), lunga 14 cubiti ( metri 7 ), alta circa 25 cubiti ( metri 13 circa ), non ha ancora il pavimento né alcuna pittura, è chiusa da cancelli di legno, prende luce da cinque finestre di forma quadrata e difese da tende: due porte ai lati portano una al campanile appena ricostruito e l’altra alla sacrestia ancora da costruire.. In mezzo v’è l’altare non ancora consacrato, a cui si accede da due gradini, con la sua mensa di legno, ben distante dalla parete di fondo di cinque cubiti ( metri 2,5 ) e sette cubiti ( metri 3,5 ) dai cancelli, con la predella, che nei giorni di festa viene coperta da un tappeto verde, con quattro statue dorate di angeli, con sei candelieri, con le tabelle, e con il palio di colore diverso secondo le esigenze liturgiche.. Dietro l’altar maggiore si estende il coro abbastanza ampio in proporzione della chiesa, con i suoi sedili per il parroco e per gli altri uomini devoti, che nelle festività sogliono cantare i vesperi».

L’altare mariano eretto nella vecchia chiesa e ritenuto indecoroso era stato demolito e provvisoriamente era stata scavata una nicchia, dove era stata costruita un’altra mensa sormontata da una composizione, con vetro e cornici dorate e difesa da una tenda di color ceruleo, rappresentante la Vergine che allattava il Figliolo e sopra tra gli angeli l’Eterno Padre ed ai piedi più in piccolo l’Annunciazione ed ai lati le sante Apollonia e Lucia. Decorava l’ambiente, chiuso da cancelli di legno, una lampada in vetro, che per devozione il parroco accendeva ogni sabato. Sulla porta della costruenda sacrestia si ergeva la statua della Madonna in vesti preziose, usata nelle processioni.

Il sacrario, pure, secondo le norme caroline era stato scavato, mancando ancora la sacrestia, nel mezzo di una parete della chiesa dal lato del Vangelo, chiuso da una porticina munita di chiavi.

Il cimitero, che si estendeva davanti alla chiesa, sempre in ossequio alle disposizioni particolari e generali di S. Carlo, era stato recintato e chiuso agli animali da colonnette e da travi trasversali, ma ancora mancante di una grande croce centrale e di una cappella dove pregare per i morti.

All’interno della chiesa si trovavano quattro sepolcreti, di cui uno solo ben fatto della famiglia De Gerulis e gli altri disadorni, mancanti persino degli anelli richiesti per l’apertura.

Sul complesso sacro in costruzione svettava il campanile, non ancora terminato, alto circa 25 metri, di forma quadrata, mancante ancora della cuspide e della croce, con accanto le due campane ben armonizzate, la maggiore di 350 libre ( circa quintali 3 ) e la più piccola di 150 libre ( circa quintali 1 ), già benedette dal preposto di S. Maria della Scala, D. Francesco Simonetta, e per le quali la popolazione aveva già comperate le corde.

I paramenti, le suppellettili e la biancheria sacri erano notevolmente aumentati; in particolare degni di nota sono:

“Una pace con l’immagine della pietà adorata […] Un Baldacchino di seta verde per la processione del S.mo Sacramento della terza Domenica con i suoi bastoni […] Una immagine di rilievo della Madonna con il suo figliolino in braccio, et con una corona in mano bianca.  Vesti della Madonna due di seta, et oro.  Manti della Madonna duoi di tocca ( panno ) d’oro et argento con picetti d’oro. Camisoli per il figliolino 4, uno di tocca d’oro, et l’altro di tocca d’argento conforme alli manti con picetti d’oro, et uno di tela con lavoro di seta argentino, et un altro di tela lavorato di seta rossa. Baldacchini per la Madonna 2, uno di tela d’argento con la franza d’oro, et l’altro di damasco rosso con franza di seta, et oro. Bastoni di ferro adorati con sue chiavi per portare la Madonna. Una corona ‘argento per la testa della Madonna.  Uno stendardo di Damasco rosso con l’immagine della Madonna, et S.to Pietro fatto di ricamo con franza di seta, et oro con il cordone, et suoi fiocchi di seta, et oro, et duoi bastoni rossi per detto stendardo. Un Crucifisso per le donne con duoi velli uno con picetti d’oro. Un libro per gli Battesimi. Un libro per gli matrimonij. Vasi per l’oglij Santi del Battesimo con sua borsa bianca d’oro, et se­ta. Vaso per l’oglio delli infermi con sua borsa di damasco”>

Alle suppellettili sacre erano stati aggiunti e ordinati i libri propriamente parrocchiali prescritti: in particolare, il registro di stato d’anime, due registri dei battezzati, uno antico, forse dalla fondazione della parrocchia cioè dal 1567, e l’altro dal 1599 sino a quei giorni del 1610, il registro dei matrimoni dall’anno santo 1575 sino allora, il registro dei morti, due messali ambrosiani, il sacramentario, il salterio ambrosiano, il vesperale, le regole delle tre confraternite.

L’oratorio sussidiario di S.Materno, in condizioni precarie al tempo di San Carlo, era stato restaurato e si celebrava dal 1600 una messa quotidiana dai Terziari Francescani, che avevano sostituito i Vallombrosoni in S. Barnaba di Gratosoglio stipendiati dall’opera pia di Santa Corona, l’organizzazione milanese che “Christo Redemptori, Sanctae Coronae, Sacro nomini dicata societas», proprietaria di alcune terre a Ronchetto superiore, dal 1540 distribuiva gra­tuitamente medicine e visite mediche non pagate ai cittadini indigenti e, soprattutto, agli abitanti bisognosi dei Corpi Santi.

Il card. Federico Borromeo  non potè che essere soddisfatto di questa visita pastorale e, sicuramente, lo manifestò ai ronchettesi e li spinse a rendere ancora più bella la casa del Signore, emanando 14 decreti, riguardanti solamente le suppellettili, quali l’indoramento della pisside, l’artisticità del tabernacolo e i suoi conopei, le costruzioni future, quali il battistero, l’altare maggiore, l’incavo per gli orcioli, un portanicchio o berretto sacerdotale, le finestre della cappella principale, l’immagine di S. Pietro, il crocefisso d’ingresso a questa cappella, l’altare della Madonna del Santo Rosario e le sepolture, quali il degrado dei tre sepolcri in chiesa e la grande croce da erigersi nel cimitero, precisando i tempi di attuazione e le eventuali pene pecuniarie in caso di inadempienza.

San Carlo aveva infuso nella sua parrocchia uno spirito nuovo, fondato sulla conoscenza della Rivelazione mediante la scuola della Dottrina Cristiana, alimentato dal fervore eucaristico – nella visita si ricordano le processioni con il Sacramento la terza domenica di ogni mese, l’esposizione della Santissima Eucaristia nei venerdì di Quaresima e quando un parrocchiano versava in gravi condizioni di salute – e dalla pietà mariana e, soprattutto, diretto dal sacerdote parroco, scrupoloso osservante delle norme minute date dal Santo Arcivescovo e con Lui padre e pastore del suo gregge.